Società e riflessioni sul protocollo linguistico da adottare. Il dibattito è acceso ma spesso sembra non cogliere a pieno connessioni e conseguenze importanti, svalutandone il legame.
Un dibattito che pervade tutto il panorama mediatico, perché quando si parla di linguaggio è necessario comprendere che si deve abbracciare ogni tipologia di comunicazione, in particolare quella televisiva. Ecco che, dunque, il ruolo di monitoraggio e l’intervento delle Istituzioni locali rimane ancora una chiave importante per la costituzione di nuovi modelli comunicativi, più adatti a rimandare una reale immagine della donna di oggi.
«Grazie al ministro Valeria Fedeli, penso che Valeria Fedeli non si dorrà se io insisto in una licenza che mi sono preso da molto tempo, quella di reagire alla trasformazione di dignitosi vocaboli della lingua italiana nell’orribile appellativo di “ministra” o dell’abominevole appellativo di “sindaca”»
Così interveniva il Presidente emerito Piergiorgio Napolitano al ritiro del premio De Sanctis 2016 per la saggistica, cogliendo più o meno direttamente l’impegno di altre Istituzioni, in particolare quello della Presidentessa della Camera Laura Boldrini, che numerose volte e per vie ufficiali ha invitato a rispettare la parità di genere linguistica quando si parla di deputate e ministre donne, evitando di riferirsi a loro con titoli maschili.
Ma il legame c’è ed è importate, va oltre il semplice uso delle parole e si riflette nella rappresentazione tout court della donna nell’universo mediatico.
“Perché protocollo linguistico e mondo vanno insieme”, spiega Felice Blasi, Presidente Corecom Puglia, intervenuto al Forum Giornaliste Del Mediterraneo. “Una delle più grandi riflessioni filosofiche del ‘900 ci ha dimostrato come i limiti del linguaggio coincidono con i limiti del mondo, perché il linguaggio è la casa dell’essere. E’ evidente che se aumentiamo e portiamo avanti i limiti del linguaggio stiamo portando avanti il limite del mondo”.
L’intervento di Napolitano fu accolto con un applauso, segno che questa percezione di avere un linguaggio al femminile non è accettata, un pregiudizio teorico e pratico importante. “Ma se noi ampliamo i limiti del linguaggio”, prosegue Blasi “i limiti del mondo si ampliano”.
E se di linguaggio si discute, è inevitabile affrontare il tema del linguaggio televisivo, che rimane oggi fra i più incisivi e discussi insieme a quello sul web.
A tal proposito, De Blasi ricorda l’enorme polemica scaturita dalla sospensione dalle reti nazionali della trasmissione Miss Italia, per anni format cardine di un certo modo di rappresentare la donna.
“Quando alla Rai raggiunse alla decisione di non trasmettere più il programma dalla Presidente Boldrini, questa decisione fu accolta con grande favore da parte delle Istituzioni ma non dalla stampa e dal web che portarono critiche argomentate dal principio di minimizzazione del problema”.
I media, infatti, non commentarono la scelta come opportunità di rinnovo di un modello televisivo ormai obsoleto o semplicemente attenendosi agli oggettivi problemi che portarono alla chiusura (mancanza di budget, calo dell’audience…), ma accusando i vertici di non badare a problemi più importanti di quelli della rappresentazione della donna in tv. “Si disse che una donna sceglie volontariamente la propria partecipazione a Miss Italia e che la trasmissione offriva possibilità di carriera” Spiega De Blasi. “Si disse che era una critica moralistica, perbenistica, intellettualistica…”. La censura a tale spettacolarizzazione del corpo della donna divenne persino accusa di limitazione della libertà di espressione, paragonata all’etica di società integraliste applicata da altri Paesi.
Ma è del tutto evidente che minimizzando la questione, si minimizza il soggetto stesso dell’argomento: la donna.
“Quando abbiamo analizzato l’audience femminile in Puglia dando la parola alle donne, abbiamo scoperto, una maturità mediatica sorprendete. Il 59% delle donne intervistate dichiarò che il fatto che una donna conduca un programma non induce un maggior coinvolgimento nel guardarlo. E tale percentuale sale all’80% quando si analizzano pareri sulla presenza femminile in TV.”
“La presenza delle donne in TV è più che sufficiente. C’è una consapevolezza mediatica in tale risultato, che emerge maggiormente da un ulteriore risultato: a prescindere da chi presenta, il 70% delle intervistate insisteva sulla necessità di una programmazione che approfondisse meglio tematiche di interesse femminile: erano i contenuti che mancavano, più che la presenza femminile”
Fra i temi di interesse principalmente cari alle donne pugliesi, De Blasi legge le percentuali emerse da questa analisi sull’audience: il lavoro (60%), la cultura (53%), la salute (43%), l’informazione scientifica (25%).
La sfida rimane, dunque, adattare il modello televisivo introducendo contenuti che realmente corrispondano la donna della società odierna, e non alle aspettative dei broadcaster che credono di suscitare l’interesse da parte di quel pubblico. Laddove c’è una figura di donna completamente diversa, integrata nella società, nel mondo del lavoro.
“L’unico modo realmente sensato”, conclude Blasi “è quello di essere vicino ai bisogni del territorio in cui i media sono inseriti. Non bastano più autorità nazionali per comprendere le modificazioni del sistema mediatico. I media non si sono deterritorializzati.
Il senso del lavoro di Giulia e di noi Istituzioni, è principalmente quello di essere vicini all’Università e ai loro territori di appartenenza”.