Aggiungere d’ufficio il cognome del marito sulla scheda elettorale vìola la Costituzione e molti diritti umani
On.le Sig. Ministro dell’Interno
Matteo Piantedosi
On.le Sig.ra Ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità
Eugenia Maria Roccella
Richiesta di incontro
Onorevole Ministra, Onorevole Ministro,
da oltre quindici anni, il nostro network Noi Rete Donne ha posto al centro della propria azione la democrazia paritaria, intrecciando l’obiettivo della partecipazione delle donne negli organi decisionali con quello della promozione della legalità e della piena attuazione dell’art. 3, co. 2 Cost., sotto il profilo dell’uguaglianza sostanziale.
La parità di genere è un principio fondante di tutte le democrazie moderne e, in Europa, uno degli obiettivi principali che sia gli Stati membri che le istituzioni dell’Unione si sono impegnati a perseguire con specifiche azioni politiche e misure legislative.
Nell’ambito delle molteplici iniziative di Noi Rete Donne si inserisce anche quello dell’attribuzione del cognome matronimico dei figli, nell’interesse superiore degli stessi.
In tale ambito teniamo a sottoporre alla vs attenzione la problematica dell’inserimento del cognome maritale per le donne coniugate nelle tessere elettorali e/o nelle liste affidate ai Presidenti di seggio.
Siamo pertanto a chiedervi cortesemente un incontro con una nostra delegazione per un confronto a riguardo.
Vi alleghiamo il nostro documento sull’argomento, confidando nella vostra cortese attenzione ed in un positivo riscontro.
Distinti saluti.
Per Noi Rete Donne
Daniela Carlà, Iole Natoli, Antonella Ida Roselli, Antonella Anselmo, Carla Bassu, Cecilia Carmassi, Sabrina Cicin, Amalia Diurni, Marilù Mastrogiovanni
Recapiti di riferimento:
email: nrd.noiretedonne@gmail.com
DIRITTO AL VOTO DELLE CITTADINE ITALIANE
ATTIENE AL SUFFRAGIO UNIVERSALE E NON DISCENDE DAL COGNOME CONIUGALE
La ricorrente prassi dell’inserimento d’ufficio del cognome coniugale nelle tessere elettorali e nelle liste delle elettrici comporta la violazione dei principi di non discriminazione e di rispetto dei dati personali.
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Alla cortese attenzione del Ministro dell’Interno
e della Ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità.
Il network Noi Rete Donne vuole segnalare alla vostra cortese attenzione il frequente abuso dell’inserimento del cognome maritale per le donne coniugate nelle tessere elettorali e/o nelle liste affidate ai Presidenti di seggio, che ha già suscitato numerose proteste in passato, a cui si sono aggiunte, nei giorni immediatamente successivi, a quelle verficatesi nelle ultime elezioni europee.
Probabilmente la prassi in questione, che si appalesa lesiva della dignità delle donne e del rispetto della loro privacy, nasce da una erronea interpretazione dell’art. 143-bis del codice civile. Tale norma è stata introdotta nel nostro ordinamento dall’art. 25, della L. 19 maggio 1975, n. 151, contestualmente alla soppressione dell’art. 144 sulla “potestà maritale”, che concerneva anche il cognome delle donne coniugate.
Il 143-bis, ancora presente nel nostro ordinamento, dispone che “la moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze”. È da notare come proprio l’abolizione della “potestà maritale” ha reso l’art. 143-bis atto semplicemente a consentire alle donne di poter essere collegate ai propri figli tramite un cognome comune, anche in considerazione che la riforma del 1975 non ha inteso estendere il suo intento riformatore anche a una modifica dell’attribuzione patrilineare del cognome ai figli.
A riguardo il Consiglio di Stato, nel parere n. 1746/97 del 10 dicembre 1997, ha chiarito che: “ai fini dell’identificazione della persona vale esclusivamente il cognome da nubile”.
Anche la giurisprudenza civile e la dottrina hanno poi chiarito che l’art. 143-bis va correttamente interpretato nel senso che trattasi di facoltà della moglie di aggiungere il cognome del marito al proprio e non invece di un obbligo.
Peraltro, a conferma di questo indirizzo interpretativo, si segnala che i dati presenti nella CIE (carta d’identità elettronica) non contemplano aggiunte di cognome a quello risultante dall’atto di nascita del soggetto di cui attesta l’identità.
Infine il DPR dell’8 settembre 2000 n. 299 (ultimo aggiornamento del 21/03/2023), con riferimento alle caratteristiche della tessera elettorale, dispone all’art. 2, co. 2, lett. a) che il nome e cognome delle donne coniugate può essere seguito dal cognome del marito.
L’utilizzo del termine «può» – come innanzi precisato – indica una facoltà e non un obbligo.
Trattasi quindi di una facoltà esercitabile unicamente dalle donne interessate, che dovrebbero manifestare espressamente il loro consenso e non può essere invece un’autonoma scelta dell’Ufficio preposto, le cui competenze e funzioni sono espressamente previste dalla normativa specifica in materia.
Ingiustificabile, poi, che del citato DPR non si tenga conto, benché l’art. 2 sia riportato nelle pp. 204-205 delle “Istruzioni per le operazioni degli uffici elettorali di sezione” n. 14, pubblicate nel 2012 e relative alle “elezioni comunali, provinciali e regionali”.
Certamente ci si rende conto che sarebbe complesso per l’Ufficio competente interrogare tutte le donne italiane coniugate presenti in un dato territorio, per sapere se gradiscano o meno che il loro stato civile venga incrementato dal cognome maritale.
Si è del parere che, con riferimento a quanto disposto dalle norme in materia, sia più appropriato il non inserire affatto il cognome maritale nelle tessere elettorali e negli elenchi di qualsiasi destinazione relativi alle elettrici, ed inserirlo, invece, nelle liste delle candidate ed esclusivamente ai nomi di quelle che abbiano espressamente manifestato l’interesse a essere individuate dagli elettori e dalle elettrici anche mediante un cognome coniugale, da loro abitualmente utilizzato.
Nell’inserimento d’ufficio del cognome coniugale nelle tessere e/o nelle liste delle elettrici ravvisiamo dunque due generi di violazioni: una relativa al divieto di discriminazione, un’altra relativa alla protezione dei dati personali.
In merito al divieto di discriminazione citiamo la normativa che nella specie viene violata:
A – Costituzione della Repubblica italiana:
Articoli 2, 3, 22
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
B – CEDU (Convenzione EDU):
Articolo 14 «Divieto di discriminazione».
«Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione».
C – Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW):
Articolo 1
Nell’art. 1, il testo definisce come «discriminazione contro le donne (…) ogni distinzione, esclusione o limitazione effettuata sulla base del sesso e che ha l’effetto o lo scopo di compromettere o nullificare il riconoscimento, il godimento o l’esercizio da parte delle donne, indipendentemente dal loro stato civile e sulla base della parità dell’uomo e della donna, dei diritti umani e delle libertà fondamentali nel settore politico, economico, sociale, culturale, civile, o in ogni altro settore».
La Convenzione impegna gli Stati a eliminare tutte le forme di discriminazione esistenti.
In merito al mancato rispetto della vita privata e dei dati personali delle persone, che risultano violati dall’inserimento d’ufficio del cognome coniugale ci riferiamo a:
D– CEDU (Convenzione EDU)
Articolo 8 «Diritto al rispetto della vita privata e familiare».
Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.
Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui».
Rileviamo in proposito come l’inserimento del cognome coniugale nelle tessere e nelle liste elettorali NON rientri in nessuna delle situazioni contemplate dal comma 2 dell’articolo, le uniche che possano giustificare l’«ingerenza di una autorità pubblica» nell’esercizio del diritto di cui al comma 1.
Ingerenza che risulta pertanto abusiva.
E – Carta dei Diritti Fondamentali dell’UNIONE EUROPEA:
Articolo 8 «Protezione dei dati di carattere personale».
1. Ogni persona ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano.
2. Tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Ogni persona ha il diritto di accedere ai dati raccolti che la riguardano e di ottenerne la rettifica».
3. Il rispetto di tali regole è soggetto al controllo di un’autorità indipendente».
Poiché nella specie non esiste alcun dato normativo che giustifichi l’inserimento da parte degli Uffici competenti del cognome maritale in tessere elettorali e in liste delle elettrici, senza il consenso delle dirette interessate, aventi infatti le norme in materia l’unica finalità legittima quella di garantire alle cittadine l’esercizio del diritto al voto. Ne consegue che la prassi adottata dagli Uffici amministrativi è passibile di reclamo al Garante della Privacy, ai sensi dell’articolo 8 comma 3 innanzi citato, ove non sia stato manifestato un consenso esplicito dalle cittadine interessate.
Conseguentemente a quanto esposto, chiediamo al Ministro dell’Interno di voler eliminare la possibilità del ripetersi delle violazioni lamentate, emanando in tempo utile – ovvero col necessario anticipo rispetto a qualsiasi genere di elezioni – una circolare che escluda l’inserimento d’ufficio del cognome maritale dalle tessere elettorali e dalle liste delle elettrici.
Qualora detta misura dovesse apparirgli insufficiente e quindi non passibile di adozione immediata, chiediamo al Ministro dell’Interno e alla Ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità di presentare al più presto in Consiglio dei Ministri una Proposta per un DPR che risolva definitivamente la questione, nel rispetto delle normative nazionali e internazionali esistenti.
Ringraziamo per l’attenzione e porgiamo distinti saluti.
Noi Rete Donne
Riferimenti giurisprudenziali e normativi:
[1] Parere n. 1746 del 10 dicembre 1997 del Consiglio di Stato
[2] DPR dell’8/09/2000 n. 299, art. 2 comma 2
[3] “Istruzioni per le operazioni degli uffici elettorali di sezione” n. 14/2012, pp. 204-205
[4] Costituzione della Repubblica italiana, entrata in vigore il 1º gennaio 1948
[5] CEDU, firmata il 4/11/1950, ratificata dall’Italia con legge 4/08/1955 n. 848
[6] Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW), del 18/12/1979, ratificata dall’Italia con legge 14/03/1985, n. 132
[7] Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, entrata in vigore con il trattato di Lisbona l’1/12/2009
[8] Garante della Privacy, autorità amministrativa indipendente istituita con legge 31/12/1996, n. 675, disciplinata e modificata da provvedimenti legislativi successivi