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Eccoci, siamo “Moleste”, ma contro sessismo e mobbing nei fumetti

 

Sono fumettiste, sceneggiatrici, disegnatrici, coloriste, letteriste, soggettiste, giornaliste, traduttrici, ghost writer. Hanno deciso che è ora di finirla. Vogliono essere considerate per quello che sono: professioniste. Esigono rispetto.

Perché sembra una scoperta di oggi, ma si sapeva da tempo: anche nel mondo del fumetto esistono atteggiamenti sessisti e molestie sessuali.

di Thomas Pistoia

La “bomba” è scoppiata prima negli Usa. Autori noti sono stati accusati di aver molestato sessualmente delle loro colleghe. In Europa, e quindi in Italia, la notizia ha cominciato a propagarsi e a dare luogo a reazioni.

Succede anche da noi. Non è facile immaginare che tra le persone che inventano personaggi e mondi meravigliosi, possano annidarsi individui tanto spregevoli, ma è così. Anche in un contesto lavorativo tanto particolare ci sono abusi, molestie e sessismo.

La risposta a tutto questo è “Moleste” (moleste.org) il collettivo di fumettiste che tramite una serie di attività si propone di aiutare le vittime di questi odiosi fenomeni.

Abbiamo chiesto a Susanna Raule, scrittrice e sceneggiatrice, e a Margherita Tramutoli (La Tram) di raccontarci tutto dall’inizio.

“Moleste è un collettivo di artiste e di altre figure professionali legate al mondo del fumetto” dice Susanna Raule “Il nome è al femminile perché il nucleo iniziale era composto da sole donne, ma l’iniziativa è ovviamente aperta a tutti. Le notizie giunte dagli Usa in merito agli abusi perpetrati da autori noti nei confronti di alcune ragazze hanno fatto emergere in modo più netto fenomeni simili che accadono anche in Italia. Le testimonianze di alcune vittime hanno dato luogo a una reazione. Abbiamo deciso che bisogna fare qualcosa. Non è vero, come a volte si dice, che il mondo del fumetto italiano non ha di questi problemi. Ci siamo poste due obiettivi: rendere evidente questa situazione e provare a cambiare le cose. In Europa c’era già stato un primo tentativo con Bdegalité, che però nasceva con l’intento di combattere le discriminazioni dal punto di vista prettamente lavorativo.”

“Abbiamo coinvolto diversi centri anti-violenza che operano su tutto il territorio nazionale” aggiunge Margherita Tramutoli “Sono informati del background da cui provengono le persone che si rivolgono a noi. Qualora le vittime volessero intraprendere un’azione legale abbiamo contatti anche in questo senso. Il tentativo di una rivoluzione culturale è piuttosto ambizioso. Stiamo cominciando a portare alla luce un problema che è stato troppo a lungo sottovalutato.”

Perché l’anonimato?

“A volte si tratta di testimonianze di fatti lontani nel tempo e non più perseguibili” risponde Susanna Raule “Altre volte la persona ritiene che, a causa della farraginosità del sistema giudiziario italiano, sia inutile denunciare. Il più delle volte, la prima risposta del mondo circostante, soprattutto in rete, è l’accanimento sulla vittima, la curiosità morbosa, atteggiamenti che possono causare un’ulteriore trauma. L’anonimato, quindi, è una forma di protezione. Resta anonimo anche il molestatore per evitare che accusi di diffamazione chi lo ha denunciato. Occorre evitare che la parte debole subisca altri traumi. Una volta intrapresa un’azione legale, autonomamente o per mezzo degli avvocati a patrocinio gratuito con cui possiamo metterla in contatto, la vittima potrà eventualmente fare a meno dell’anonimato”.

Le scuole di fumetto sono un bacino di potenziali vittime di questo tipo di abusi?

“Il rischio si crea ovunque ci sia una scala gerarchica” risponde Margherita Tramutoli “a scuola e sul lavoro. Nelle scuole di fumetto c’è una informalità nei rapporti che può agevolare l’approccio dell’abusante, inoltre le allieve sono molto giovani e spesso non hanno ancora gli strumenti per difendersi, o addirittura per riconoscere i comportamenti abusanti. Bisogna formarle. Quando non si hanno gli strumenti, la prima reazione è quella di mettere in dubbio se stesse, chiedendosi per esempio, se il fatto che il professore abbia buttato l’occhio non sia dipeso dal nostro abbigliamento. Il corpo insegnante deve imparare che gli atteggiamenti troppo informali non sono graditi né opportuni.”

L’esperienza di “Moleste” vi dà il polso di come vanno le cose in Italia e in Europa in merito a queste problematiche?

“In Italia, rispetto ad altri paesi, la differenza sta nel sistema legale e in quello editoriale” dice Susanna Raule “Negli Usa, ad esempio, quando pubblichi, l’editore ti fa firmare un contratto secondo il quale ti può licenziare quando vuole. Da noi, per fortuna, questa situazione non si verifica. In Francia il discorso è iniziato da una disuguaglianza in fatto di retribuzione, di premi, di visibilità delle fumettiste, che hanno fatto un lavoro importante di denuncia. La stessa sottovalutazione della professionalità femminile che è avvenuta per lungo tempo in premi importanti come quello di Angoulême, è avvenuta in Italia in importanti concorsi letterari. Abbiamo quindi casi diversi in nazioni diverse, ma le tematiche sono le stesse.”

I colleghi maschi italiani come hanno reagito alla vostra iniziativa?

“Il feedback è stato positivo” dice Margherita Tramutoli “Qualcuno ha chiesto chiarimenti, altri hanno cercato un dibattito approfondito ma, come speravamo, i colleghi sono interessati al fatto che si possa respirare un’aria meno tossica. C’è stato qualche feedback negativo, non abbiamo paura di dirlo, ma lo abbiamo bypassato senza prenderlo in considerazione. A noi interessa avere un confronto costruttivo con chi ha veramente voglia di farlo. Non abbiamo interesse, né tempo per seguire flames.”

Sdrammatizziamo, un attimo. Perché nel mondo della fantasia le eroine malmenano i maschi senza problemi, mentre nella realtà abbiamo bisogno di “Moleste”?

“Per molti anni anche nelle storie ci sono stati una serie di stilemi negativi” risponde Susanna Raule “Oggi c’è un maggiore interesse a creare personaggi femminili più tridimensionali e a affrontare anche temi come la differenza di genere.”

“Nella realtà le stesse donne che prendono a pizze in faccia un amico che esagera nell’approccio” aggiunge Margherita Tramutoli “Non possono reagire con un datore di lavoro, con qualcuno che sta gerarchicamente sopra di loro. Nella realtà la situazione è più complessa. Poi c’è bisogno di “Moleste” anche perché non è neanche detto che dobbiamo per forza essere delle eroine. E’ giusto che si possa pure essere deboli e fragili, sgomente di fronte a un comportamento che non ti saresti mai aspettata, immaginando la buonafede dell’altro. Magari ci sappiamo anche difendere, ma nel contesto lavorativo possiamo avere bisogno di aiuto.”

Rispetto ad altri ambiti lavorativi, “Moleste” è un’iniziativa pioneristica?

“In campo letterario ci sono state altre iniziative simili, con diverse fortune” dice Susanna Raule “C’è una parte del mondo intellettuale italiano che è sintonizzata su queste problematiche. Un’altra parte è convinta che così vanno le cose e così devono andare. Per cui ci troviamo di fronte a festival in cui vengono invitati soltanto maschi senza che nessuno se ne stupisca, così come a iniziative molto belle in cui davvero si cerca di dare una voce a tutti. Per quanto riguarda il nostro ambito lavorativo c’è un’altra cosa da sottolineare: rispetto ad altre professioni, noi che lavoriamo nel campo creativo e fumettistico non abbiamo un sindacato. Questo è un vulnus che nel lungo periodo si sente.”

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Giornaliste.org

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