Illumineremo Malta e Turchia. Non si può morire di giornalismo in Ue
Di Marilù Mastrogiovanni
Per comprendere alla radice il fenomeno globale della #Pressphobia è necessario ascoltare le testimonianze di chi ha subito le varie sfumature della violenza sulla propria pelle.
Solo così, leggendo gli articoli giornalistici e i commenti sui social nella loro escalation di denigrazione, delegittimazione, sessismi, disumanizzazione della vittima, si capisce come lo stesso mondo dell’informazione sia l’origine e lo strumento per l’esercizio di una violenza che poi diventa fisica: contro le cose, le case, gli animali, fino ad arrivare, come nel caso di Daphne Caruana Galizia, alla soppressione fisica di chi è considerato scomodo da parte di un gruppo di potere dominante. Lo hanno raccontato senza omettere alcun dettaglio Petra Caruana Dingli e Caroline Muscat, raccontando la storia di Daphne Caruana Galizia, la giornalista uccisa il 16 ottobre scorso a Malta in un attentato mirato a bloccare le scomode inchieste che stava conducendo. L’escalation di violenza per Daphne è iniziata, come sempre accade, dalle parole: era insultata come “strega” e “biliosa” anche sui giornali – per poi arrivare alle minacce, danneggiamenti alla sua abitazione, l’uccisione dei suoi cani, fino alla sua morte.
Ha raccontato Caroline Muscat che “Una grossa parte della società civile si è animata, ha preso posizione scendendo in piazza e dando vita al movimento Occupy justice. Nel portale theshiftnews.com proseguono, con un contributo collettivo di giornalisti e di citizen journalism, le inchieste di Daphne e la lotta per una vera democrazia”.
Una violenza verbale e una manipolazione dell’informazione molto simile a quella riservata a Giulio Regeni dopo la sua morte.
Laura Cappon ha ripercorso l’inestricabile labirinto di indagini o pseudoindagini avviate sull’assassinio del giovane ricercatore italiano in Egitto. Anche in questo caso il rischio è di essere lasciati soli, i pochi come lei ancora impegnati nella ricerca della verità e che, assicura, “non ci arrenderemo”.
Per la seconda volta il Forum è tornato sulla difficile situazione in Turchia, dove ogni giorno vengono arrestati giornalisti e le testate indipendenti sono decapitate dagli arresti dei giornalisti. Questa volta è stata Nurcan Baysal, giornalista turca curda, a raccontare quanto sia difficile scrivere la verità in questo paese. “Chiunque racconti dei crimini perpetrati viene censurato, perseguito, rinchiuso in prigione”, ha detto Nurcan, “chiunque sia dalla parte della verità viene accusato di essere un terrorista, di fare propaganda terroristica. Terrorismo, soprattutto dopo il tentativo di colpo di stato del luglio 2016 è la parola più diffusa per far tacere le opposizioni, la stampa, gli attivisti, gli scrittori”.
La pressphobia parte proprio dalle parole, dalle accuse, dalla denigrazione per poi salire alle minacce e alla repressione. Ma dalle parole, dai riflettori puntati da parte di chi continua a raccontare con il supporto di organizzazioni e cittadini, può nascere la forza per provare a costruire vere democrazie.
Arbana Xharra dal Kosovo ha raccontato di come i suoi problemi siano iniziati con i suoi articoli sull’islamismo: croci dipinte con vernice rossa sui muri di casa, le foto dei suoi figli sui social network con la scritta “quanto bene vuoi ai tuoi figli?”, fino ad essere picchiata e ridotta in fin di vita. Una sua cara amica l’ha spinta a mostrare in pubblico le foto del suo copro martoriato (hanno cercato di romperle le gambe a bastonate) e così ha avuto il coraggio di raccontare quanto le è accaduto.
La guerra per l’informazione è troppo spesso fatta di solitudine, che Lina Ben Mhenni, candidata al premio Nobel per la Pace nel 2011, è riuscita a rompere grazie ai social network.
Lina con il suo blog A tunisian girl è diventata un punto di riferimento per le testate internazionali nel corso della “Primavera araba” e grazie ai social è riuscita ad aggirare la censura del regime per amplificare la sua voce.
Ci sono poi solitudini sotto scorta, come quella di Marilena Natale, nella sua non interrotta battaglia per “svelenire”, in tutti i sensi, la sua “terra dei fuochi”. Un’indagatrice fastidiosa, che oggi, con tutti i sui timori ha imparato a convivere e chiede “solo tempo, non forse per riuscire salvare la mia terra ma almeno per provarci”.
Aggressioni, intimidazioni, querele temerarie: tutti strumenti vissuti sulla propria pelle anche da Ester Castano e Fabiana Pacella, e in cui la lotta più grande è quella con la solitudine, con l’isolamento, il discredito sulla propria attività di cronisti. Esempi di numerosi altri casi che coinvolgono giornalisti in Italia (al 52° posto per la libertà di informazione), come a Malta, in Tunisia, in Kosovo, in Turchia, Kurdistan.
Per questo il messaggio lanciato nel corso della prima giornata del Forum ha riguardato la necessità di costruire una scorta mediatica: rilanciare i servizi dei giornalisti minacciati perché i poteri da cui sono partite le minacce sappiano che quando si tenta di imbavagliare un giornalista,altri 100, 1000, riprenderanno il suo lavoro.
L’appello lanciato dal Forum delle giornaliste del Mediterraneo #VeritàperDaphne è stato raccolto dal presidente della Federazione nazionale della stampa italiana, Beppe Giulietti, che ha ribadito la necessità di mantenere accesi i riflettori nei luoghi in cui si sono perpetrate minacce, aggressioni e omicidi.
“Occorre passare dalla descrizione all’azione”, ha detto Giulietti, “che tutte le persone impegnate a fare inchieste proseguano il lavoro avviato da Daphne”. Nel sottolinearlo ha richiamato la necessità di agire come Fnsi e di coinvolgere la European Federation of Journalist: “Dobbiamo andare nei posti, perché se un giornalista è in prigione in Turchia la sua voce è morta se non pensiamo noi a mantenerla viva e rilanciarla”. E’ il concetto di “scorta mediatica”, quella che “forse non serve a risolvere i problemi”, ma quantomeno “serve a dare forza a tutti quelli che svolgono il lavoro di cronista, come Daphne Caruana Galizia, o che sono semplicemente curiosi, come Giulio Regeni”.
Il Forum è organizzato da Giulia giornaliste su un’idea di Marilù Mastrogiovanni grazie al contributo di: Corecom della Regione Puglia, Consigliera di parità della Regione Puglia, FNSI (Federazione nazionale stampa italiana), USIGRai (sindacato giornalisti Rai), Idea Dinamica coop di giornalisti e con il Patrocinio della presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini, Accademia della Crusca, Articolo 21, Ossigeno per l’Informazione, Università degli Studi di Bari, Archivio di Genere presso Uniba, Università del Salento, LIM (Laboratorio Interdisciplinare del Mediterraneo), Centro Studi Osservatorio Donna presso UniSalento, Associazione Una buona storia per Lecce, Comune di Lecce, CREIS (centro di ricerca europeo per l’innovazione sostenibile) .
Questo il sito della manifestazione: www.giornaliste.org