VUCJIAK (BOSNIA ERZEGOVINA). Siriani, afghani, iracheni, curdi, pakistani, insieme in un caleidoscopio di culture che non si combattono ma che, al contrario, convivono nella disperazione dell’inverno balcanico tentando da mesi di attraversare confini.
E’ la fotografia scattata dal reportage pubblicato su Il Manifesto martedì 19 ottobre di Alessandra Briganti “A Vucjak in trappola, con le spalle al muro”, storie di quotidiana sofferenza di chi è stipato nei centri di accoglienza temporanei in Bosnia, al confine con la Croazia, nel tentativo di arrivare finalmente in Europa.
Luoghi al limite del collasso, dove le autorità hanno deciso di restringere la libertà di movimento e aleggia la minaccia del duro braccio di ferro contro Sarajevo, l’Europa e le organizzazioni internazionali a cui vengono destinati molti dei fondi per la gestione della crisi umanitaria.
Umanità respinta, scacciata con la forza o relegata in posti come la tendopoli di Vucjak, a pochi chilometri dalla città che sorge su un’ex discarica tossica, dove la polizia fa irruzione per bruciare i pochi alloggi improvvisati e dare poi la colpa ai residenti stessi.
Uno sguardo sulla fragilità di uno Stato, quello bosniaco, che tenta di farsi forza su altre fragilità e su una crisi umanitaria nei confronti della quale l’Europa sembra tacere.