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La risposta dell’allenatore del Napoli a Titti Improta conferma il maschilismo imperante in un mondo chiuso all’intromissione femminile

di Francesca Rizzo

“Mister, sono troppo dura se dico che questa sera lo scudetto è compromesso?”

“Sei una donna, sei carina e non ti mando a fare in culo per questi due motivi”

Maurizio Sarri, allenatore del Napoli
Maurizio Sarri, allenatore del Napoli

Forse Maurizio Sarri ha pensato di essere spiritoso, magari di avere anche del garbo, nel rispondere alla giornalista Titti Improta che gli ha posto l’ennesima domanda sul vantaggio della Juventus nella lotta scudetto. Forse, oltre all’allenatore del Napoli, lo hanno pensato anche i tanti uomini, in gran parte giornalisti, presenti alla conferenza stampa seguita al big match di Serie A tra Inter e Napoli: lo testimonia il coro di grasse risate seguito alla “battuta” del tecnico toscano.

Ma al di là di tutti i “forse”, c’è una certezza: la certezza che nel mondo del calcio italiano di Maurizio Sarri ce ne sono tanti. Allenatori da panchina o da bancone del bar, telecronisti o superospiti da divano, non importa: nel 2018, essere una donna che segue il calcio è un’eresia.

Desta meraviglia se una sera in un pub, tra una birra e due frittini, una donna spiega a un’altra donna la regola del fuorigioco: eccoli lì i maschietti, ammutoliti, a guardare mentre si compie l’inaspettato.

Desta meraviglia e persino disprezzo se una donna sceglie di fare la calciatrice anziché la pallavolista o, boh, la ballerina.

Desta meraviglia, disprezzo e insulti in diretta se una donna osa pensare di poter commentare partite di calcio e intervistare, al pari dei colleghi uomini, allenatori e giocatori. Perché la frase palesemente sessista di Maurizio Sarri è solo l’ultima, in ordine cronologico, di una serie di rispostacce, di insulti e di provocazioni subite dalle giornaliste sportive italiane. E non parliamo di semplici incomprensioni tra giornalista e allenatore, all’ordine del giorno indipendentemente dal genere di chi pone le domande. Parliamo di risposte che, in modo esplicito o implicito, chiedono alla giornalista, anzi alla donna, cosa ci faccia lì, cosa voglia da loro.

Come il “Che cazzo guardi? Vai a cucinare” rivolto, con tanto di “lancio” dell’elastico fermacapelli, da Zlatan Ibrahimović, ai tempi calciatore del Milan, alla giornalista Sky Vera Spadini: sempre a fine partita, sempre dopo una domanda (“Oggi non ti arrabbierai con Allegri?”, riferita ad una polemica precedente con l’allenatore) poco gradita; il tutto mentre lo Svedese veniva intervistato in diretta da un’altra emittente e Spadini vi assisteva vicino. Questione chiusa con un mazzo di rose e un bigliettino recapitati alla giornalista da parte della società rossonera, e nessun provvedimento ufficiale verso il calciatore. D’altronde, bastano due fiori (anzi, 19 ad essere precise) e le donne si sciolgono, giusto?

E chissà quale sarebbe stata la risposta di Siniša Mihajlović, se a chiedergli perché abbia preferito un calciatore anziché un altro nel derby tra la sua squadra e l’Inter fosse stato un giornalista, un uomo: alla povera Mikaela Calcagno è toccato un saccente “Perché io faccio l’allenatore e lei fa la presentatrice”.

Già, “presentatrice”: è il ruolo che spetta alle donne del calcio. Dalle storiche Paola Ferrari e Simona Ventura nello studio della Domenica sportiva, ai nuovi volti come Ilaria D’Amico e Diletta Leotta, negli studi televisivi che ospitano le trasmissioni dedicate al calcio si realizza, più che in altri contesti, la presenza della donna-oggetto, che conduce ma non si espone liberamente, che chiede il parere degli autorevoli ospiti ma non esprime quasi mai il proprio, e se lo fa ne subisce le conseguenze. Una donna (poco importa che sia anche una giornalista) degna di nota più per l’aspetto fisico che per la preparazione, conosciuta quasi più (è il caso di Leotta) per gli abiti succinti indossati che per il suo mestiere. Una donna, insomma, che colleghi, allenatori e calciatori sono legittimati a guardare dall’alto in basso.

Perché, ancora una volta Siniša Mihajlović dixit, “Io non sono razzista, ma penso che le donne non dovrebbero parlare di calcio perché non sono adatte”. Parole di due anni fa, che hanno fatto indignare e che hanno spinto Paola Ferrari a denunciare che “nel mondo del calcio tra gli addetti ai lavori moltissimi la pensano come lui. E anche gli allenatori. (…) Quando si trovano di fronte alle donne si sentono infastiditi, offesi, dalle domande di una donna”. “Il mondo del calcio – ha detto ancora Ferrari – è sessista. Per esempio a Rai Sport non c’è mai stato un direttore donna e nemmeno un vicedirettore tranne Ivana Vaccari, che si occupa però di altri sport».

Si potrebbe citare una miriade di episodi del genere, tutti riconducibili ad un’unica matrice culturale che vede il calcio predominio maschile, e le donne che lo seguono o che lavorano in quel mondo come degli abomini che dovrebbero appendere il microfono al chiodo e tornare in cucina. Perché il mondo del calcio si può aprire alla tecnologia e introdurre il VAR (sì, al maschile, non per sessismo tecnologico ma come indicato dall’accademia della Crusca) ma di aprirsi alla civiltà e considerare normale che giornalisti e giornaliste coesistano e abbiano pari dignità e libertà, neanche a parlarne.

E non c’è appello che funzioni, non c’è 8 marzo che tenga. I Sarri, i Mihajlović, gli Ibrahimović, esisteranno sempre: l’importante è che esistano sempre anche le Ferrari, che denunciano e che in quel mondo chiuso e gretto continuano a imporsi, a dire “Ci sono anch’io”.

Perché la palla è rotonda, e basta un calcio per farla girare.

// AGGIORNAMENTO: NON FIORI, MA “SCUSE SINCERE” La dichiarazione a posteriori di Titti Improta, riportata dal Mattino, chiude la polemica con un assist ai tanti “negazionisti”, a chi (compreso Nicola Lombardo, capo della comunicazione del Napoli),  proprio non vuole ammettere l’evidenza e a chi si preoccupa più delle prospettive di carriera di un allenatore che non sa comunicare, che della misoginia che regna sovrana nel calcio.

“Finita la conferenza, Sarri si è avvicinato a me con tono scherzoso e mi ha chiesto se fossi permalosa. E io, davanti al dirigente Lombardo, gli ho detto che non sono permalosa ma non poteva assolutamente permettersi una risposta come quella”. Così Improta, che è anche segretaria dell’Ordine dei Giornalisti della Campania nonché presidente della Commissione Pari opportunità dello stesso Ordine (Ordine che ha bollato la risposta di Sarri a Improta come “sessista e inaccettabile”).

“Lombardo si è scusato – ha proseguito Improta – ha ammesso l’errore, e anche Sarri lo ha fatto, mostrando imbarazzo e abbracciandomi con affetto. Ho accettato le sue scuse perché sono state sincere: non credo avesse intenzione di offendere, è stata una dichiarazione fatta con leggerezza.”

“La vicenda – ha concluso la giornalista – per me, si era chiusa domenica sera: non pensavo si sollevasse un polverone”. 

Insomma, molto rumore per nulla, secondo Improta.

1 a 0 (per i vari Sarri) e palla al centro. Per ora.

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