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Chi siamo

Il Forum è nato dalla giornalista Marilù Mastrogiovanni ed è organizzato da Giulia Giornaliste e dalla cooperativa IdeaDinamica, con l’obiettivo di “creare ponti, abbattere muri: promuovere una riflessione sul giornalismo delle giornaliste investigative, come presidio di Democrazia, dunque di Pace”.

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L’appello al Forum della giornalista arrestata da Erdogan: “Possiamo vincere i poteri forti solo lavorando fianco a fianco, per la libertà, la giustizia e la democrazia”

Ho iniziato a considerarmi un’attivista quando la guerra è arrivata nella mia città, e io non ho potuto fare altro che iniziare a scrivere. Scrivere la verità non è mai stato facile in Turchia, e men che mai in Kurdistan, dove siamo cresciuti con la guerra e abbiamo assistito a molti crimini di guerra. Chi ha scritto di questi crimini negli ultimi quarant’anni è stato torturato, arrestato o ucciso.

baysal Oggi in Turchia è difficile difendere la verità: dopo il colpo di stato del 20 luglio 2016, nel mio Paese è stato dichiarato lo stato d’emergenza, che continua tuttora. Ora la situazione è davvero insopportabile per i giornalisti e per tutti coloro che stanno dalla parte della verità, accusati di essere membri di un’organizzazione terroristica o di fare propaganda per il terrorismo. Il termine “terrorista” è il più usato, oggi, in Turchia. Chi ha opinioni diverse viene dichiarato un terrorista e trattato come tale; persino scrivere critiche su Erdogan è terrorismo. Centinaia di giornalisti sono stati arrestati, centinaia di redazioni sono state chiuse. Oggi almeno 151 giornalisti sono in carcere, mentre sono più di 200 le testate costrette a chiudere. Moltissimi giornalisti sono disoccupati, nell’ultimo mese ne sono stati arrestati 12.

Essere un giornalista in Turchia è difficile, ma ancora più difficile è essere un giornalista curdo in Turchia. Dal 2015, quando è ripresa la guerra tra governo turco e PKK, in Kurdistan, il mio Paese natale, è davvero dura per i giornalisti. Alcuni giornalisti sono stati ridotti al silenzio dalle forze di sicurezza, alcuni di loro sono stati minacciati dalle stesse forze, altri sono stati torturati, altri ancora sono stati bruciati vivi durante le operazioni militari.

La maggior parte dei giornalisti arrestati in Turchia sono Curdi. Voi non li conoscete, non conoscete i loro nomi, perché tutte le campagne internazionali sui colleghi detenuti in Turchia parlano di giornalisti turchi: io lo ritengo inaccettabile

Con lo stato di emergenza in atto la situazione è peggiorata di molto: quasi tutti i media curdi sono stati oscurati, persino i canali per bambini. Tutto questo è assurdo; tutti i media mostravano i crimini di guerra compiuti dallo Stato, e la violenza della mano dello Stato nella regione. Ora i Curdi dipendono dai social media, soprattutto Twitter e Facebook, che di tanto in tanto vengono comunque oscurati.

Non a caso, la maggior parte dei giornalisti arrestati in Turchia sono Curdi, ma sfortunatamente voi non li conoscete, non conoscete i loro nomi, perché tutte le campagne internazionali sui colleghi detenuti in Turchia parlano di giornalisti turchi: io lo ritengo inaccettabile.

La maggior parte dei giornalisti curdi arrestati sono costretti a lavorare all’ombra dei fucili nella regione. Purtroppo nessuno di loro trova neanche un piccolo spazio sui media turchi, né nell’area internazionale.

Nurcan Io sono una scrittrice, giornalista e attivista, e durante il lungo periodo di bombardamenti nella mia città ho informato il pubblico sui crimini di guerra e sulle violazioni dei diritti umani commesse nella mia zona. Cercavo di accrescere la consapevolezza dei lettori sulla guerra, ma nello stesso tempo, violando il coprifuoco insieme ad altre persone, aiutavo le famiglie i cui bambini, morti, erano abbandonati per strada, a volte per mesi. La mia città ha vissuto i bombardamenti per almeno tre mesi: un periodo molto difficile. A marzo del 2016 ho visitato una città vicina, e anche lì vigeva il coprifuoco. Centinaia di abitanti erano stati bruciati vivi nelle cantine; sono entrata nelle case usate dalle forze di sicurezza, dove erano state stuprate delle donne, c’erano preservativi usati buttati per terra. Ho scritto queste cose, generando una grande reazione in Turchia. Una settimana dopo, il mio articolo è stato censurato dall’Ufficio di sicurezza turco, per la prima volta. È stato aperto un procedimento nei miei confronti, ancora in corso. Da quando quel pezzo è stato pubblicato sono stata minacciata molte volte. Il mese scorso è stata aperta un’altra indagine a mio carico, a causa del contenuto dei post e degli articoli che ho pubblicato sui social media; vorrei farvi vedere qualche esempio di questi post, perché ritengo che la situazione sia davvero comica. Sono inquisita perché ho condiviso la canzone elettorale del partito curdo HDP, per una foto in difesa della mia città, per aver retwittato in difesa di Ahmet Shuk, un altro giornalista turco arrestato nel Paese. Sono indagata persino per aver usato la parola “Kurdistan”; è stata incriminata anche una frase che ho pronunciato durante un’intervista: “In Turchia si può essere tutto, tranne che Curdi; ma noi vogliamo essere Curdi prima di tutto”.

La Turchia è una grande prigione per chi si schiera dalla parte della verità; centinaia di migliaia di persone sono in carcere, a migliaia hanno lasciato il Paese. Giorno dopo giorno il numero di giornalisti e scrittori arrestati aumenta, le voci critiche vengono zittite.

La solidarietà è molto importante a questo punto, perché non c’è ragione per stare zitti. Possiamo vincere i poteri forti solo lavorando fianco a fianco, per la libertà, la giustizia e la democrazia.

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