[fullwidth background_color=”#ffffff” background_image=”” background_parallax=”none” enable_mobile=”no” parallax_speed=”0.3″ background_repeat=”no-repeat” background_position=”left top” video_url=”” video_aspect_ratio=”16:9″ video_webm=”” video_mp4=”” video_ogv=”” video_preview_image=”” overlay_color=”” overlay_opacity=”0.5″ video_mute=”yes” video_loop=”yes” fade=”no” border_size=”0px” border_color=”” border_style=”solid” padding_top=”20px” padding_bottom=”20px” padding_left=”20px” padding_right=”20px” hundred_percent=”no” equal_height_columns=”no” hide_on_mobile=”no” menu_anchor=”” class=”” id=””][fusion_text]
E’ accaduto il 24 settembre 2016: all’aeroporto di Heathrow, le autorità inglesi hanno confiscato il passaporto alla giornalista siriana Zaina Erhaim, una delle voci più critiche verso il regime di Bashar Al Assad, impedendole, di fatto, la possibilità di viaggiare per svolgere la sua professione.
“Il braccio di Assad può arrivare anche in Regno Unito – ha commentato Erhaim – si tratta di un dittatore che perseguita una giornalista”.
Prima di questo episodio, Zaina aveva viaggiato liberamente in tutta Europa e ad aprile era proprio giunta nel Regno Unito per ritirare il “Freedom of Expression Journalism Award” assegnatole per il suo lavoro.
Fino al 2015, la giornalista viveva ancora ad Aleppo. Nel suo paese dilaniato dalla guerra civile, ha contribuito a formare cronisti e ha visto nascere moltissime realtà editoriali.
Attualmente coordina, dalla Turchia, un progetto dell’”Institute for War and Peace Reporting” organizzazione transnazionale che supporta centinaia di cronisti in zone di conflitto e nel 2015 ha vinto il premio giornalistico “Peter Mackler”.
Fonte: The Guardian
[/fusion_text][/fullwidth]