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La  donna e il sacro in Occidente, saggio di Paolo Lopane sulle origini del patriarcato   

     Sono passati trent’anni dalla scomparsa di Marija Gimbutas, la celebre archeologa di origini lituane il cui rivoluzionario scavo nella preistoria, frutto di metodologie innovative e di un approccio interdisciplinare coniugante l’archeologia descrittiva alla linguistica, all’etnografia storica e alla mitologia comparata, ha squarciato il velo di oscurità che incombeva sui tempora ignota e dato un decisivo contributo alla conoscenza dell’Europa Antica. Tra le prime scienziate ad adottare la datazione al radiocarbonio con correzione dendrocronologica, l’archeologa ha analizzato un’imponente mole di reperti – circa duemila manufatti preistorici – per concludere che la civiltà bellicista e patriarcale diffusasi nel continente europeo a partire dalla seconda metà dell’Età del Rame, era stata preceduta da una cultura pacifica ed egualitaria estranea alle gerarchie di genere e incentrata sul culto di una Grande Dea identificata con la Natura vivente e, per ciò stesso, “Datrice-di-vita, Datrice-di-morte e Rigeneratrice”.

     Ma La donna e il sacro in Occidente è assai più che un doveroso omaggio alla Lituana e al suo illuminato lavoro scientifico. Il saggio ricostruisce, in primo luogo, l’incontro-scontro di civiltà che si verificò fra le popolazioni indomediterranee e quelle indoeuropee all’indomani dell’invasione degli Yamna, le stirpi semi-nomadi e guerriere che irruppero a partire dal IV millennio a.C. nella regione danubiana, nei territori degli odierni Stati della Moldavia e dell’Ucraina e, gradualmente, nel resto dell’Europa Antica, recandovi le proprie concezioni androcentriche, belliciste ed agnatizie.

     La seconda parte del saggio, “Religione e società”, analizza i retaggi giuridico-sociali dell’impatto e dell’ibridazione fra queste differenti culture nel mondo classico, nelle società germaniche e, più tardi, nell’ecumene cristiana medievale, dove la detronizzazione del Femminile decretò la marginalizzazione sociale della donna e la sua espulsione dalla Storia.

     La terza parte, “Eresie di genere e ordine di ragione”, mostra come il fenomeno dell’eresia medievale, sintomatico di un rifiuto di sistema e di una manifesta volontà di presenza, celasse forme di socializzazione dissidente ed ansie di riscatto e di emancipazione sociale: un’eversiva proposta religiosa in cui la donna, che nella cristianità medievale nulla aveva da dire (1 Tm, 2, 11-15) e nulla avrebbe dovuto dire, trovò spazi di libertà e di parola. Combattute con il ferro e con il fuoco, le correnti ereticali prelusero al capitolo più rivoltante della storia della cristianità latina: la “caccia alle streghe”, quasi un genocidio di genere di cui furono corresponsabili, con la Chiesa di Roma, la Chiesa Riformata e i poteri laici. Fu una tragica vicenda di isteria collettiva, una nube di follia morale che per oltre tre secoli oscurò le coscienze dell’Occidente. Prigioniera del cliché dell’Eva instrumentum diaboli, la donna fu eretta a capro espiatorio delle catastrofi e delle tragedie collettive (la peste nera, la “piccola era glaciale”, le devastanti carestie) che dalla metà del Trecento funestarono la cristianità, per poi divenire vittima di una società in rapida trasformazione che reagì al senso di insicurezza e instabilità aggrappandosi alla propria tradizionale identità ed espellendo l’elemento deviante e le culture subalterne: fra queste, gli ultimi retaggi di quella che Marija Gimbutas definì “Civiltà della Dea”: il mosaico delle culture mediterranee prepatriarcali. Ma la Fenice risorge sempre dalle proprie ceneri, e nella globalizzazione dell’insipienza, nell’impero del pensiero unico, nel monologo di massa, continua a gettar luce su quella che le donne catare, ai piedi dei Pirenei, chiamavano “entendensa” o “entendensa de be”: il fuoco della Conoscenza.

Paolo Lopane, storico e giurista, è nato e insegna a Bari. Collaboratore di diverse riviste, ha pubblicato saggi sulla storia della gnosi e sulle eresie dualistiche dell’Età di Mezzo.

Nel 2013 gli è stato assegnato il Premio Internazionale di Poesia e Letteratura “Nuove Lettere” (Istituto Italiano di Cultura di Napoli) per il saggio, da lui curato, Hrand Nazariantz. Fedele d’amore (2012), dedicato al poeta armeno Hrand Nazariantz e al genocidio del suo popolo.

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Redazione Giornaliste.Org