Vi proponiamo l’editoriale a firma del Direttore responsabile della rivista “Scuola e Amministrazione” apparso nell’edizione di novembre 2023
di Fabio Scrimitore
C’è stato un tempo, fra il mitico e lo storico, in cui l’incertezza del futuro, generata negli abitanti dell’Attica, della Tebaide e del Peloponneso dalle inquietudini umane e dagli umori cangianti delle annoiate divinità delle nebbiose vette dell’Olimpo, poteva esser mitigata dai pur fumosi responsi della Pizia delfica; ai quali rimanda ancora la poetica memoria dello sfortunato e claudicante Edipo, pessimo interprete del vaticinio che gli preannunciava il suo triste destino di parricida.
Oggi, per discernere qualche traccia del futuro, non si va più a Delfi, nella penombra dell’antro della Sibilla cumana; si clicca sulla flottante tastierina di quell’ inseparabile protesi umana che, un tempo ormai lontano, si chiamava telefonino, alla ricerca delle ultime applicazioni create dalle start-up digitali, per apprenderne le ultime innovazioni tecnologiche che Elon Mask, Mark Zuckerberg e Sam Altman sfornano con sistematica e competitiva velocità, per metterle ad onerosa disposizione dei loro follower su Twitter-X, Meta-Facebook e Google.
Lo stanno facendo con sempre maggiore interesse gli studenti liceali, come i loro coetanei degli istituti tecnici e professionali, nella speranza di poter essere aiutati nella quotidiana incombenza dei compiti da svolgere a casa. E ciò, nonostante che OpenAI, la società statunitense che gestisce la piattaforma di Open AI, abbia assicurato che il suo ChatGPT-AI, potentissimo sofware di intelligenza artificiale generativa, non traduce versioni di latino e greco al posto degli studenti, non può fornire loro soluzioni esatte durante le verifiche di matematica o fisica, nè può essere considerato strumento di copiatura, limitandosi soltanto a dare suggerimenti su come affrontare determinate tematiche.
Con diversi stati d’animo, anche gli insegnanti degli istituti secondari di primo e secondo grado scrutano curiosi fra le nebbie dell’avvenire, forse allo stesso modo in cui gli operai del tessile inglese del XVIII secolo seguivano attentamente i risultati del progressivo sviluppo della macchina a vapore di James Watt, temendo che la sua applicazione all’industria tessile ne riducesse i posti di lavoro. Con malcelato ottimismo, nelle sale dei professori si discute anche se le imprevedibili capacità generative dell’intelligenza artificiale saranno in grado di offrire agli insegnanti la possibilità di creare testi per le verifiche in classe, che siano tali da non consentire agli studenti di trovarvi soluzioni e risposte standardizzate ai loro quesiti, cliccando di nascosto sui potenti smartphone.
Persino il Procuratore Generale della Corte d’Appello della meridiana città cara a San Nicola confidava al compagno di viaggio quotidiano la preoccupazione dei suoi colleghi giurisdicenti per le conseguenze dell’avviata informatizzazione del rito del processo giudiziario; l’anziano magistrato prevedeva melanconicamente che, prima o poi, qualcuna delle più aggiornate start-up della Silicon Valley o della penisola di Corea, oppure dell’arcipelago nipponico sarebbe stata in grado di generare una chatbot idonea a redigere sentenze, grazie alla velocità di acquisizione della legislazione in vigore, della pregressa giurisprudenza, nonchè dei dati e delle informazioni raccolti nel rito del singolo processo da celebrare.
Oggi, però, il panorama offerto dall’ esaltante e, per qualche verso, inquietante velocità della ricerca scientifica non consente ai docenti di guardare al futuro con la stessa cauta fiducia che le generazioni passate hanno potuto nutrire sulle potenzialità che i corpi sociali hanno di evolversi produttivamente in armonia con le innovazioni scientifico-tecnologiche. Era un’epoca, quella, in cui la società aveva a disposizione molto tempo per adattare le sue strutture organizzative al progresso tecnologico. Sono trascorsi decenni da quando James Watt scoprì che il vapore dell’acqua può essere trasformato in energia motrice, e altri ne sono passati prima che l’energia di quel vapore acqueo sostituisse la forza muscolare degli operai impegnati davanti ai rumorosi telai d’Oltremanica. Era il 1936 l’anno in cui il geniale Alan Turing intuì la possibilità teorica del funzionamento della macchina ideale, capace di manipolare i dati contenuti su un nastro di lunghezza potenzialmente illimitata; ma si dovette attendere il 14 ottobre 1965 perché Adriano Olivetti presentasse al sorpreso mondo imprenditoriale newyorchese il primo P.C., denominato “Programma 101”.
Da quel giorno si è avviato un processo di evoluzione tecnologica che ha rimodellato la realtà produttiva con crescente velocità. Le macchine da scrivere hanno raggiunto le sale-deposito degli uffici e quelle delle scuole, sostituite dagli M24 della Olivetti con driver per i floppy disk, che poi hanno ceduto il passo alle più ridotte chiavette usb. I primi device digitali di intelligenza artificiale cominciavano a rivelare le loro enormi potenzialità di memoria, di calcolo e di ricerca testuale, tingendo di rosa anche il futuro degli operatori amministrativi della scuola e potenziando la didattica d’aula con l’avvento delle lavagne interattive.
Ma, così come i tempi ed il desio d’onore inducevano il Poeta di Zacinto a non fermarsi mai più del necessario lungo i percorsi storici dell’Europa rimodellata da Napoleone, allo stesso modo, l’ansia ed il desiderio di gloria e di miliardari titoli di credito dei proprietari dei colossi mondiali dell’informatica sembra che non stiano dando alle scuole il tempo occorrente per l’acquisizione stabile delle abilità utili per l’adeguata utilizzazione delle piattaforme digitali di cui esse sono attualmente dotate. Che la didattica non sia stata ancora compiutamente implementata dalle risorse offerte dalle dotazioni informatiche delle scuole è stato segnalato da qualche episodica indagine, dalla quale è emerso che gli apprendimenti, acquisiti nella secondaria, non corrisponderebbero alle attese che erano state riposte dai collegi dei docenti nella didattica a distanza, durante la difficilissima stagione del Covid-2. Se, poi, si terrà conto di quanto più potenti si stiano rivelando le nuove chatbot di intelligenza artificiale generativa di Sam Altam, di Elon Musk e di Mark Zuckerberg rispetto a quelle in uso sino ad oggi, si potrà ritenere giustificata l’ incertezza che attualmente si avverte fra gli insegnanti, come pure fra gli studenti e le loro famiglie, circa gli effetti che l’intelligenza artificiale generativa potrà offrire per attualizzare, migliorandola, la relazione didattica.
Open-INVALSI ricorda che nel libro bianco per l’intelligenza artificiale al servizio del cittadino, edito a cura dell’Agenzia per l’Italia Digitale, sono riportati degli esempi di come la scuola potrebbe trarre beneficio dall’adozione di soluzioni di intelligenza artificiale generativa. Vi rientrano gli strumenti automatici per la valutazione, la personalizzazione del materiale didattico, il tutoring automatizzato per mezzo di strumenti per tenere viva l’attenzione, i suggerimenti inerenti alle varianti personalizzate da introdurre nella programmazione didattica e la messa a punto di indicatori predittivi del rischio di abbandono scolastico.
Un uso più semplice e molto più efficace dell’intelligenza artificiale nella scuola potrebbe essere rappresentato dal supporto allo studio individuale, quale strumento di autovalutazione mediante la redazione automatica di esercizi aggiuntivi e di interrogazioni virtuali. Sono esempi, questi, forse allarmanti per i titolari di cattedra che vedono il loro futuro immediato, o comunque prossimo, lontano dalle aule; ma, per gli insegnanti che hanno prospettive di stabilità operosa nella scuola, gli stessi esempi potranno rappresentare un’ occasione unica affinché si rigenerino in loro gli interessi per la ricerca didattica, sempre che il Ministero dell’Istruzione e del Merito assuma le iniziative di supporto necessarie per implementare la qualità del servizio offerto agli utenti.