È stata dichiarata “malata di mente” dal regime teocratico della Repubblica Islamica dell’Iran che l’ha riaffidata alla famiglia
Ahoo Daryaei era stata arrestata il 4 novembre 2024 all’esterno dell’Università Azad di Teheran, capitale dell’Iran, e successivamente ricoverata in un ospedale psichiatrico. La giovane studentessa era diventata un simbolo delle proteste delle donne iraniane per il suo gesto di sfida: si era spogliata nel campus universitario che frequenta, denunciando le condizioni di oppressione a cui sono sottoposte le donne nel Paese. Le immagini di Ahoo Daryaei in biancheria intima hanno fatto il giro del mondo, trasformandola in un simbolo della resistenza contro le rigide imposizioni da parte del regime.
In Europa, la sua figura è stata adottata durante manifestazioni femministe e condivisa ampiamente sui social media. La sua azione aveva però portato al suo immediato arresto da parte della polizia morale presente nell’ateneo. Le circostanze del suo fermo, descritte come particolarmente violente dai testimoni, sono state minimizzate dalle autorità. Il ministro della Scienza, della Ricerca e della Tecnologia, Hossein Simaei, ha dichiarato che Daryaei sofre di problemi di salute mentale e che il suo comportamento “immorale” era conseguenza di difficoltà familiari e fragilità psicologiche. Secondo il ministro, non vi era alcuna ragione valida per protestare dato che la studentessa non era stata espulsa dall’università.
La liberazione di Ahoo
Il portavoce della magistratura iraniana Asghar Jahangir, ha comunicato che la ragazza è stata sottoposta a cure mediche in un ospedale psichiatrico e oggi è tornata alla sua famiglia poiché le è stato diagnosticata una malattia mentale. Annunciando la sua scarcerazione, Jahangir ha sottolineato che non verrà avviato alcun procedimento penale nei confronti della studentessa, presentando la decisione come un gesto di clemenza da parte del governo.
Tuttavia molti considerano il metodo del ricovero forzato in psichiatria un metodo di repressione largamente utilizzato dal regime iraniano per colpire i dissidenti e in particolare le donne.
Roya Zakeri, ad esempio, era stata internata tre volte in un ospedale psichiatrico a Tabriz dopo essere stata arrestata per non aver indossato il velo. La stessa Zakeri aveva denunciato in un video che le autorità cercavano di farla passare per malata mentale nonostante fosse in buona salute.
Oppure Azam Jangravi, attivista persiana fuggita in Canada nel 2018 dopo essere stata condannata a tre anni di carcere per aver rimosso il velo in pubblico, ha raccontato che il regime aveva esercitato pressioni sulla sua famiglia affinché dichiarasse che soffriva di disturbi mentali.
Vicende che ricordano quella di Mahsa Amini (ma sarebbe meglio usare il suo vero nome: Jîna), la giovane arrestata due anni fa dalla polizia morale per aver indossato in modo scorretto il velo, e successivamente morta in circostanze misteriopse. La sua morte aveva innescato un’ondata di proteste antigovernative in tutto l’Iran, represse con violenza.