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Rotta balcanica: “Fallimento politica europea della migrazione”

Il tema è stato affrontato nel panel 4 del Festival delle Giornaliste del Mediterraneo. Silvia Maraone: “Anziché offrire assistenza, l’Europa si chiude”. Nela Porobic: “L’Ue pensa sia più importante difendere i confini che le persone”. Jelena Hrnjak: “Il 74% delle donne che ha denunciato violenze, ha raccontato di carnefici parenti maschi e talvolta poliziotti”. Nicole Corritore: “Donne e pace due parole chiave della straordinaria rete di solidarietà durante la guerra nella ex Jugoslavia”

La rotta balcanica, nei fatti, è fallimento della politica europea della migrazione. E’ quanto emerso dal quarto panel della sesta edizione del Festival delle Giornaliste delle Mediterraneo, dal titolo Balcani, guerra nel cuore dell’Europa. Zona che sembra essere dimenticata dall’Unione Europea, posto che quasi un terzo degli Stati  si oppone all’entrata nell’Unione di uno o più paesi balcanici, mentre il Kosovo non è neppure riconosciuto come stato sovrano da cinque paesi Ue

“Donne e pace sono due parole chiave della straordinaria rete di solidarietà durante la guerra nella ex Jugoslavia tra ’91 e 2001”, ha detto introducendo i lavori, Nicole Corritore dell’Osservatorio Balcani, centro studi che si occupa del Sud Est Europa, dal 2001.

“Molte di queste donne si sono messe in viaggio l’una verso l’altra con campagne contro la guerra. E’ un viaggio ostacolato dagli uomini che hanno sempre considerato di essere gli unici protettori e depositari del destino della nazione. Queste donne hanno sempre lottato affinché rimanesse uno spazio femminile, pubblico, che stava scomparendo cioè quello del dialogo, della soluzione di conflitti sociali e politici con strumenti di pace”, ha detto. “Ai tempi bui del duro scontro fra diversi nazionalismi sono state motore di una coraggiosa ribellione e la loro voce ha reso possibile se non altro aprire una breccia nella dilagante prassi dell’odio”, ha sottolineato.

“Sono state non solo il motore della ricostruzione post dissoluzione, dal 2001, ma sono oggi sono coloro che stanno intessendo relazioni tra Paesi, estremamente attive nel fenomeno della migrazione che sta attraversando questa regione dal 2015”.

Due gli esempi citati: “La commissione regionale per l’accertamento dei crimini di guerra e violazione dei diritti umani commessi sul territorio della ex Jugoslavia che si inquadra nell’ambito della costruzione di una riconciliazione con il passato e poi la costituzione di un primo tribunale delle donne in Europa nel 2015, a Sarajevo”.

“La domanda bruciante è: qual è questa Europa nata da un sogno bruciante che non riconosce la guerra quando ce l’ha in casa. Qual è questa guerra che non si preoccupa della migrazione e che la rigetta al di fuori dei propri confini”, ha detto Corritore che ha passato la parola a Nela Porobic, femminista e attivista, rappresentante della Women’s International League for Peace and Freedom vive in Bosnia e che negli ultimi due anni si è occupata della ricostruzione post- conflitto.

 “L’Unione pensa sia più importante difendere i confini che le persone. La Bosnia si trova all’estremità della violenza politica ai confini dell’Ue: stanno succedendo molto cose, è stato un anno vivace”, ha detto. “Esiste una tendenza a orientalizzare la regione e classificarla come perennemente in conflitto, come la pecora nera del continente europeo”.

Quanto alla crisi migratoria: “E’ stata il fallimento del Nord del mondo nel sostenere il regime di protezione internazionale ed è stata causata dalle azioni dello stesso Nord del mondo. Quando si parla di Balcani e Ue, parliamo del risultato diretto di un sistema di frontiere che chiamerei razzializzate e militarizzate. Troppo spesso finiamo per demonizzare il paesi dei Balcani per il loro trattamento disumano dei migranti e dei rifugiati. Non c’è dubbio che lo sia, ma tendiamo a dimenticare di richiamare cause e radici”.

“L’Ue ha dato erogato denaro alla Bosnia per la gestione della migrazione. Quando chiediamo allo Stato di assumersi responsabilità per le condizioni spaventose, ci risponde che non ci sono i mezzi, quando lo chiediamo all’Onu ci dicono che è responsabilità dello Stato. Mentre diversi attori giocano a fare lo scaricabarile, diverse persone soffrono”, ha ricordato. “Quando parliamo di persone in movimento in Bosnia-Erzegovina, facciamo riferimento sia a quelli che cercano di entrare in Ue che a quelli che possono lasciare il Paese per fornire manodopera a basso costo”.

Porobic ha anche fatto riferimento alla questione dell’acqua, rispetto alla quale l’attivismo popolare è stato in grado di mobilitarsi: “Le donne con il corpo hanno difeso le loro comunità e i fiumi, per l’accesso all’acqua non contaminata, pulita. E’ una lotta contro le grandi organizzazioni e le donne sono state attaccate fisicamente e sessualmente dalle forze di polizia. La difesa più in generale riguarda gli spazi pubblici”. Sul fronte delle pari opportunità: “C’è un grosso divario fra le teorie e ciò che viene fatto, per cui tutto è molto difficile per le donne”.

A seguire l’intervento di Silvia Maraone, esperta di Balcani e migrazioni nella regione e coordinatrice dei progetti a tutela dei rifugiati e richiedenti asilo lungo la rotta balcanica in Bosnia Erzegovina e Serbia: “La rotta balcanica è un corridoio migratorio che nasce ben prima del 2015, anno in cui diventa famoso sui media internazionale. E’ una zona grigia d’Europa perché sulle mappe spesso vengono rappresentate in grigio”, ha detto. “Questa rotta migratoria è l’attraversamento dei Paesi che vanno dalla Macedonia verso la Serbia o dall’Albania e della Turchia. Tre le sono mete principali che le famiglie vogliono raggiungere e ci mettono 2-3 anni: Germania, Francia, Inghilterra. Nel 2015 un milione di persone è arrivata in Europa”, ha ricordato.

“Ci sono fili spinati al confine tra Ungheria e Serbia: nel settembre 2015 Ungheria chiude fisicamente il confine e si arroga il diritto di creare barriera fisica. Credo che la rotta balcanica rappresenti il  fallimento politica europea della migrazione: anziché offrire assistenza, l’Europa si chiude. Questo modello si replica a marzo 2016, con l’accordo fra Turchia e Unione europea politico ed economico con la prima decentralizzazione delle frontiere che l’Europa mette in atto, a cui seguono accordi tra Libia e Italia che poi diventerà Libia Europa e Marocco-Spagna. Le varie tratte via mare vengono sigillate. L’Europa paga gli Stati esterni  e sigilla frontiere all’interno”.

I numeri degli ingressi sono scesi: “Nel 2020 siamo arrivati a 95mila migranti. Migranti che continuano a esserci ma sono fermi ai confini, per cui la politica europea ha creato zone cuscinetto ma non ha risolto i problemi”, ha evidenziato Maraone. “Man mano che i confini chiudono, la rotta si sposta perché la migrazione non si può fermare. Per questo sono necessarie soluzioni e non costruire muri, quindi garantire dei passaggi legali. Il sistema dei campi profughi sono la costellazione dell’Europa negli ultimi 5 anni. Da un lato, sono strumenti necessari per evitare che finiscano in mano ai trafficanti, ma sono necessarie tipologie di accoglienza diversa. Non c’è privacy non c’è acqua calda”.

“Queste rotte sono tutte in mano ai trafficanti che si collegano a livello locale con quelli dei Paesi di attraversamento. E’ una rotta di famiglie, di minori non accompagnati per il 10 %, è una rotta di violenza”.

Il ruolo delle donne: “In questo contesto di viaggi, le donne assumono ruolo di guida della famiglia, anche quando provengono da paesi in cui tradizionalmente hanno un ruolo marginale. sono in grado di gestire i bisogni del gruppo e i loro stessi interessi e imparano anche la lingua inglese”.

Per Jelena Hrnjak, giornalista e project manager di Atina, la questione migrazione “riflette nostra vita reale e futuro ed è una existence strategy”.

“Abbiamo chiesto a 162 donne di raccontare la propria esperienza e il 74% ha denunciato di aver subito violenze, i cui carnefici di solito erano i parenti maschi e talvolta hanno menzionato i poliziotti”.

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Valentina Isernia

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