Per la giornalista curdo-turca erano stati chiesti tre anni di carcere con l’accusa di incitamento all’odio; “La libertà d’espressione per chiedere la pace è un diritto”, afferma
di Francesca Rizzo; foto: Front Line Defenders
Dear my friends,
I would like to share good news with you.
3 days ago, I was acquitted in the prosecution I was facing for my tweets I sent during the military operation in Afrin in January 2018.
Thanks for all your solidarity, it is so important not to feel alone
Freedom of expression, to demand peace and human rights is a right not a crime.
Sincerely,
Nurcan
“Cari amici,
vorrei condividere con voi buone notizie.
Tre giorni fa, sono stata assolta nel processo che ho dovuto affrontare a causa dei tweet pubblicati durante le operazioni militari ad Afrin, a gennaio 2018.
Grazie per la vostra solidarietà, è davvero importante non sentirsi sole.
La libertà d’espressione, per chiedere la pace e il rispetto dei diritti umani è un diritto, non un crimine.
Cordialmente,
Nurcan”

Poche righe per annunciare ciò che da tempo aspettavamo: Nurcan Baysal, giornalista ed attivista curdo-turca, è stata prosciolta dall’accusa di “incitamento all’odio” per i suoi 5 tweet contrari all’operazione militare turca nell’enclave siriana di Afrin. Un’accusa per la quale il pubblico ministero aveva chiesto tre anni di carcere.
La giornalista, che da tempo denuncia la repressione attuata dal governo turco soprattutto contro la minoranza curda, era stata arrestata a gennaio 2018: le forze speciali del Paese hanno fatto irruzione in casa poco dopo mezzanotte, conducendo la dissidente in carcere, nel Dipartimento anti terrorismo. Questi i tweet contestati dalle autorità:
- Dai carri armati non escono ramoscelli di ulivo, ma bombe. Quando cadono, le persone muoiono. Ahmet muore, Hasan muore, Rodi muore, Mizgin muore… Le vite si stanno esaurendo…
- Chiamare “ramoscello d’ulivo” la guerra, la morte. Questa è la Turchia!
- La sinistra, la destra, i nazionalisti e gli Islamici sono uniti dall’odio contro il popolo curdo
- Alla conquista di cosa, credete di andare? Quale religione, quale credo appoggia la guerra e la morte? (Ho scritto questo tweet dopo che l’autorità religiosa turca ha invocato la vittoria durante un sermone a favore dei militari)
- (Retweet della foto, postata da un altro giornalista, di un bambino morto ad Afrin) “Chi vuole la guerra, guardi questa foto, un bambino è morto”
Scarcerata dopo tre giorni su cauzione, Baysal ha continuato a denunciare la “caccia alle streghe” del governo Erdogan: la persecuzione di politici, giornalisti e uomini d’affari che si oppongono alla politica reazionaria attuata in Turchia attraverso arresti e divieti d’espatrio, che hanno trasformato il Paese in una grande prigione a cielo aperto; il tutto, nell’indifferenza delle autorità europee, pur sollecitate ad intervenire.
Baysal si è fatta portavoce dei tanti Curdi maltrattati dai militari nell’operazione chiamata in codice “Ramoscello d’ulivo”, dei membri del PKK torturati e poi uccisi dalle forze governative e dei loro familiari, ai quali è stato impedito persino di seppellire i corpi.
Già a novembre 2017, Nurcan Baysal aveva portato la sua testimonianza al Forum of Mediterranean Women Journalists, denunciando la stretta attuata da Erdogan dopo il fallito colpo di stato del 20 luglio 2016: “Ora la situazione è davvero insopportabile per i giornalisti e per tutti coloro che stanno dalla parte della verità, accusati di essere membri di un’organizzazione terroristica o di fare propaganda per il terrorismo”, affermava.
Meno di un anno dopo, il 16 ottobre 2018, la giornalista si è presentata davanti alla 7^ Corte Criminale di Prima Istanza di Diyarbakir, nel processo che la vedeva, appunto, accusata di incitamento all’odio, con la possibilità di una condanna a tre anni di carcere.
“Non ho mai incitato le persone all’odio, all’ostilità. Queste accuse sono inaccettabili per chi, come me, ha dedicato la sua vita alla pace, e a costruire una vita solidale per tutti. (…) Avere a cuore l’interesse pubblico non è monopolio del governo; è anche un nostro diritto in quanto cittadini”, ha dichiarato alla Corte.
Un diritto che ora, finalmente, le è stato riconosciuto anche giuridicamente.
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